Rifugio e Santuario insieme da secoli

Insieme da secoli, Madonna della Neve il Santuario e Madonna della Neve il Rifugio. La storia dei rifugi alpini coincide con quella dell’alpinismo quindi è una vicenda con origini a metà ’800. Più indietro si va per altri motivi che, per la valle di Biandino e il Madonna della Neve, sono stati la pastorizia estiva e, sui rilievi circostanti, l’attività mineraria. La presenza di un ricovero a Biandino ha verosimilmente quindi origini lontanissime, antecedenti il voto del 1836 degli introbiesi a ringraziamento della Vergine con processione votiva e festa il 5 agosto al Santuario. In questa chiave, considerando una costante storica la simbiosi tra Rifugio e Santuario Madonna della Neve, l’edificazione potrebbe datare già 1670.

Fine ‘800 con Giuseppe “Folat” Rigamonti
Alpinisticamente il rifugio trova traccia nell’attività di Giuseppe “Folat” Rigamonti (1851-1925), guida alpina tra le prime del CAI, esploratore del Pizzo Tre Signori con primogenitura l’altro della via del Caminetto. Giuseppe è ricordato come capostipite dei “Folat” (da ‘follatura’, fase di lavorazione del tessuto in lana) che gestirono il rifugio dagli ultimi decenni dell’800 (dal 1868 sceondo la testimonianza dei discendenti) fino al 1982. Tutto al Rifugio ha una lunga storia, compreso l’acero di fronte all’ingresso che gli eredi Folat dicono sia stato messo a dimora proprio dal trisavolo. La datazione pre ‘900 è valutabile, oltre che dalle dimensioni dall’albero stesso (diametro oltre 1 metro e 20 all’agosto 2018), dalla sua presenza nelle immagini di inizio secolo scroso e su alcune cartoline postali che mostrano l’architettura ottocentesca dell’edificio chiesa-rifugio, in corpo unico a pianta rettangolare con tetto a capanna a due falde (colmo ortogonale alla facciata principale). La chiesa occupava la parte centrale sotto il colmo; il rifugio stava sulla destra guardando l’ingresso; a sinistra c’era il rustico Annovazzi, famiglia di malgari che a metà ‘600 aveva perorato la causa dell’edificazione di una chiesetta. Non c’è torre campanaria ma una semplice campanella sopra l’ingresso, sospesa a due travi sporgenti dalla facciata.
Ai primi del ‘900 il Madonna della Neve era l’unico rifugio della Val Biandino. La valle però era ben nota nel milanese e lo divenne ancora di più grazie all’attenzione che vi dedicò tra agli altri Luigi Vittorio Bertarelli (1859-1926), figura di spicco del capoluogo lombardo alla fine dell’800. Industriale, appassionato di sport, podista, alpinista, speleologo, soprattutto ciclista. Bertarelli, per conto della società Pro Patria partecipa alla riunione costitutiva del Touring Club Italiano del 7 novembre 1894; una volta fondato, ne cura la Rivista promuovendo una cartografia innovativa; consigliere comunale a Milano dal 1899 al 1913, si dimette perché preferisce il ruolo di vice presidente del Touring. “Folat” Giuseppe Rigamonti e Vittorio Bertarelli non a caso sono ricordati dalla lapide posta a suo tempo sul frontale della baita Invernizzi, attualmente sulla parete est.
A inizio ‘900, Biandino inizia a proporsi per il turismo escursionistico. Tra il 1907 e il 1908 la milanese Associazione Giovani Studenti di Santo Stanislao  edifica l’imponente Casa Alpina Pio X (domina la Bocca a est, sul sentiero verso Camisolo); tra il 1928 e il 1932 alla Bocca è la volta del Tavecchia, sempre nel ’32 apre lì di fronte il Bocca di Biandino.
La gestione del Madonna della Neve è passata intanto da Giuseppe al figlio Giovanni Rigamonti (1885-1956) che è esperto di agricoltura di montagna e promuove moltissimo l’attività “turistica” dell’alpeggio, ammodernando e invitando dei giornalisti a vivere di persona la realtà dei luoghi, oltre che con iniziative eccentriche quali la “passeggiata” in stazione a Bellano con un camoscio a guinzaglio.

Campane sul tetto per il centanerio del voto
Nell’approssimarsi del centenario del Voto, il Madonna della Neve viene restaurato insieme alla Chiesa per presentarsi allo speciale compleanno del 1936 tirato a specchio. Il parroco don Arturo Fumagalli (cinquant’anni a Introbio fino dal 1931) prepara il rinnovamento affrontando nel ‘32 la vicenda della proprietà dell’edificio, trovando l’accordo per un comodato. I lavori, iniziati nel 1934, non modificano la precedente fisionomia ma sono comunque molto importanti. Facciata alzata, finestre allargate, finestra sopra l’ingresso da quadrangolare a circolare, aggiunta una doppia finestra campanaria, rifatto il tetto con piotte della Valmalenco. Soprettutto, dietro la baita Annovazzi, il piccolo precedente vano a lato dell’altare viene ampliato per ottenere il coro, la sacrestia e un piccolo alloggio.
Nel frattempo i “Folat” a loro volta avevano pensato di potenziare l’attività del Rifugio prendendo in affitto l’adiacente Baita degli Invernizzi già restaurata nel 1911.

Seconda guerra: distruzione e ristrutturazione
Gli eventi bellici dell’ottobre 1944 coinvolgono il Madonna della Neve e tutta Biandino. Rifugio e chiesa distrutti dalle fiamme, Tavecchia, Bocca di Biandino, Pio X, Santa Rita etc. dati al fuoco durante il rastrellamento di fine ottobre, con incendio fermato solo nell’edificio Invernizzi dove la famiglia Rigamonti prosegue l’attività fino verso il 1957.
Le tracce della distruzione vengono fatte sparire in brevissimo tempo. Don Arturo chiede aiuto agli introbiesi e grazie a loro e ad altri benefattori, alla festa del 5 agosto 1947 c’è l’inaugurazione del nuovo edificio.
Che è molto diverso da prima. Il progetto (ingegner Piero Amigoni) vuole evidentemente separare le cose sacre da quelle secolari (in virtù anche di una nuova intesa sulle aree e sulle proprietà) e ampliare i vari spazi. La chiesa viene spostata di alcuni metri a ovest (sullo spazio della vecchia baita Annovazzi) e leggemente avanzata nel sagrato. A sinistra, guardando l’ingresso, arretrata di qualche metro nella facciata, viene costruita la canonica (due camerette e servizi al piano superiore, dedicati ad alloggio del prete) che in fondo è collegata alla sacrestia. Dalla parte opposta il rifugio, (piano terra, primo piano e soffitta) va a occupare l’inedita ala dell’edificio perpendicolare alla navata del Santuario. La nuova sistemazione di fatto acquisisce lo spazio della baita Annovazzi e lascia l’area del vecchio Rifugio, il cui rudere – separato dal nuovo edificio da un inedito codrridoio – rimane ai malgari. Che non vanno immediatamente a ricostruire, i resti dell’ex rifugio rimangono in abbandono per alcuni anni dopodichè vengono ceduti ad altri privati.

Ingresso a destra e due rifugi
La pianta dell’edificio chiesa-rifugio del 1947 è quella attuale ma, mentre per Santuario e canonica rimane  invariata fino a oggi, il Rifugio viene rimaneggiato più volte. La prima, curiosamente, per correggere la posizione della porta di ingresso che, con la ricostruzione del 46-47, era stata collocata a destra guardando l’edificio: per razionalizzare l’uso dello spazio interno, viene spostata al centro, scambiandosi il posto con la finestra.
Negli anni successivi alla ricostruzione, la gestione del Madonna della Neve è affidata alla famiglia di Francesco “Freschin” Buzzoni che opera dal 1949 fin verso il 1957. In quel periodo nell’area del Santuario i rifugi sono due, quello della Parrocchia e quello dei “Folat”. Mancato in precedenza Giovanni e finito il periodo dei Buzzoni, è la figlia Iolanda Maddalena Rigamonti (1912-1994) a tornare a gestire il Madonna delle Neve, con l’aiuto del marito Pietro Bonacina (1904-1962) e dei figli Vincenza, Andreino e Antonio. Ed è Maddalena nel 1982 a chiudere il periodo ultra centenario dei “Folat” al Rifugio, la figlia Vincenza infatti dal settembre 1960 è al Bocca di Biandino (fino al ’74) dove i fratelli proseguono fino al 1997.

Coi Brini al nuovo millennio
Rifatto e ampliato nel ‘47, il Madonna della Neve in quella configurazione rimaneva pur sempre un rifugio angusto, con spazi e posti letto limitati. Dietro l’ingresso c’era la sala somministrazione; di là dal muro centrale (con pilastro a centro stanza), sulla destra, il piccolo bar e, oltre la parete di fondo, il lavello (destra, fuori dalla finestra); nell’altro angolo l’accesso alla cucina, sempre esterna, che dava alla cantina dietro l’altare del Santuario. Da giugno 1982 inizia la gestione Brini-Buzzoni, con le mogli Paola e Giuseppina. Il sodalizio dura un paio di stagioni, poi a continuare è la famiglia di Antonio (1947) e Paola Brini, coi figli Cristian (1972), Moira (1974) e successivamente William (1992).
Negli anni di permanenza al Madonna della Neve, i Brini spingono con l’attività del Rifugio e promuovono col parroco don Cesare Luraghi l’ammodernamento funzionale, necessario per allargare il periodo di lavoro ai mesi freddi, avviato con la presa in carico dell’azienda da parte di Moira (1995, Rifugio Alpino Madonna della Neve).

Quattro interventi in quindici anni
Caratteristica dei vari interventi è l’esecuzione rispettosa delle attività del Rifugio per avere porte aperte il fine settimana. Primo dell’elenco, nell’84, l’ampliamento a tutta la facciata posteriore della cucina, (e conseguente eliminazione della finestra). Nel ’91 altro significativo lavoro, l’asservimento al Rifugio di tutti gli spazi sul retro, a livello suolo e al primo piano, recuperando quanto ancora disponibile fin dietro la canonica, con realizzazione di una uscita di servizio a ovest di fronte alla nuova baita del Beneficio, e due nuovi bagni sopra la cucina. Tre anni e il pilastro a centro sala viene eliminato, guadagnando spazio per la ristorazione. Col nuovo millennio c’è l’intervento che conferisce al Madonna della Neve e al sagrato del Santuario l’aspetto attuale. Il sottotetto viene alzato per ricavare un vero secondo piano (la parte nuova è ben identificabile in facciata; fino a diciotto posti letto in più), il terrazzo antistante viene quasi raddoppiato: la fontana di fronte al Rifugio è eliminata, il gabinetto che sta sotto (privato ma aperto al pubblico) è rifatto; sostanziale poi lo sbancamento davanti e sotto il vecchio sagrato così da ottenere, coi bagni, un unico grande interrato con ampi locali ripostiglio/garage.
I Brini rimangono a gestire i rifugio “ufficialmente” fino al 21 novembre 2015, giorno in cui inaugurano il loro nuovo Valbiandino, ex Bocca di Biandino. Se va dato atto della buonissima reputazione del Madonna della Neve tra escursionisti e social, la loro uscita apre un problema, in quei locali una nuova azienda non può lavorare. Tra individuazione delle soluzioni, definizione del piano di intervento, progettazione, valutazione dei vari Enti ed esecuzione lavori, passa del tempo. I lavori commissionati da don Marco Mauri e firmati dall’architetto Latorre iniziano il 30 luglio 2018. Dentro cambia tutto, dalla cucina agli impianti elettrici e idrici passando per pavimenti, arredo, accessori etc.; fuori nulla di troppo evidente (eliminazione dell’infisso posticcio in alluminio) ma sotto terra c’è il nuovo impianto di smaltimento delle acque reflue, vitale per la riapertura.

 

 

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